Per ogni sport a livello agonistico o amatoriale ci sono storie di atleti professionisti o praticanti le cui vite sono state in qualche modo influenzate dall’attività praticata.
Vale per chi si dedica a un costante esercizio fisico con lo scopo di mantenersi in buona salute e per chi ha fatto dello sport la propria scelta di vita.
Oggi voglio condividere una storia molto interessante soprattutto a livello umano, anche in occasione della fine del primo corso di Psicomotricità Funzionale del 2024 che ha ottenuto l’approvazione di tutti i genitori che hanno creduto nella validità del corso e nella professionalità dell’insegnante.
Se ti interessa, abbiamo già scritto di Karate come strumento di inclusione sociale
Torniamo alla breve storia che ti suggeriamo di leggere.
La versione originale dell’articolo pubblicata nel novembre 2019, è sul sito della United Spinal Association, l’abbiamo tradotta e adattata all’italiano per chi non ha dimestichezza con l’inglese.
La vicenda riguarda Stephanie Arrache, avvocato, madre, moglie, atleta. Quando non è in tribunale, offre consigli su come convivere con la paralisi per aiutare gli altri a comprendere meglio la vita sulle ruote. È nata con un tumore alla colonna vertebrale che alla fine l’ha portata alla paralisi nel 2013. Vive a Palm Springs, in California, con il marito, il figlio neonato e due cani.
Ecco la sua storia.
Come il Para-Karate ha cambiato la mia vita
Ci sono diversi eventi del mio passato che non dimenticherò mai perché senza dubbio hanno cambiato la mia vita in meglio: la nascita di mio figlio, il mio matrimonio, il giorno in cui ho prestato giuramento all’Ordine degli Avvocati della California e il giorno in cui ho incontrato Tamara Canedo.
Sono cresciuta praticando karate, in particolare uno stile coreano chiamato Tang Soo Do, è stata la mia passione per gran parte della mia giovinezza.
Mi piaceva praticare altri sport, principalmente softball e nuoto, ma poiché sono nata con un tumore alla colonna vertebrale che rendeva la mia gamba sinistra completamente insensibile e tutta la parte inferiore del mio corpo più debole della media, ero sempre in svantaggio. Le difficoltà che dovevo affrontare erano le più diverse. Ma nel karate eccellevo.
Non potevo lanciare calci, ma in questo sport non ero in svantaggio. Sono diventata molto più veloce e più forte con le mani. Avrei prevalso sugli avversari, e non perché mi rendevano tutto più facile, ma per la mia maggiore abilità.
Riconosco al karate il merito di avermi aiutato a superare il mio primo importante intervento chirurgico al midollo spinale, per rimuovere un tumore quando avevo 10 anni. Ricordo vividamente il mio maestro dell’epoca, Kenny Herrera, che era con me la notte prima dell’intervento. Aveva fatto quasi due ore di macchina fino all’ospedale per tenermi compagnia. Era lì quando l’infermiera è venuta a darmi una flebo. Ricordo distintamente di aver detto che non potevo piangere davanti al mio maestro per non deluderlo. Ecco quanto ero appassionata di karate.
Riscoprire la passione
Arriviamo a maggio 2018. Da quasi cinque anni ero paralizzata e madre di un bambino di 2 anni. Accadde che una palestra di karate locale offriva una lezione gratuita per i bambini piccoli, ma per varie ragioni non riuscii a iscrivere mio figlio, tuttavia in quella occasione ho incontrato Tamara Canedo, maestra di karate. Le spiegai che speravo che mio figlio amasse il karate tanto quanto me. Tamara mi chiese la ragione per cui avevo smesso di allenarmi. L’ho guardata con uno sguardo vuoto mentre indicavo la mia sedia a rotelle. Mi disse di presentarmi alla sua palestra il lunedì successivo perché mi avrebbe addestrato.
Torno in palestra
Mentre ero seduta fuori dalla palestra diverse paure si affacciarono, la paura di deludere il mio vecchio maestro, mia madre, di essere giudicata e derisa dagli altri allievi. In qualche modo riuscii a entrare per essere accolta con abbracci e strette di mano da parte di tutti.
Oltre allo stupore di non essere guardata con disapprovazione, ricordo di essere rimasta stupita di aver mantenuto gran parte delle mie capacità precedenti, nonostante non avessi praticato per oltre 20 anni. E nonostante la maestra Tamara Canedo pratichi e insegni uno stile giapponese chiamato Shitō-ryū.
Quattro mesi dopo aver iniziato ad allenarmi con Tamara, mi ha invitato a partecipare a una competizione che prevedeva una divisione di Para-Karate.
Nota di redazione. Per chi si domanda quale stile viene insegnato nei nostri corsi per bambini e adulti, presso l’A.S.D. Ren.Bu.Kan sono insegnati due stili: Shotokan e Shitō-ryū.
Cos’è il Para-karate
Il Para-Karate è riconosciuto dalla World Karate Federation ed è composto da atleti che utilizzano sedie a rotelle, nonché da atleti non vedenti e atleti con disabilità mentali.
Anche se rientriamo tutti nella stessa divisione, ognuno compete contro un atleta nella medesima condizione.
Infatti, io gareggio solo contro altri atleti su sedia a rotelle. La divisione del Para-Karate gareggia solo nei kata, non nei combattimenti contro un altro atleta o nelle armi. Nella mia prima competizione, ho gareggiato contro altri tre atleti e ho vinto il primo posto nella divisione Para-kata.
Tamara ed io ci siamo divertite a modificare i kata per mantenere il concetto originale, ma per adattarli alla mia condizione. Non possiamo aggiungere mosse, ma possiamo adattarci per soddisfare le mie esigenze. Poiché il karate su sedia a rotelle è ancora uno sport relativamente nuovo, abbiamo un certo margine di manovra per capire cosa funziona e cosa no.
Ho imparato a fare impennate al posto dei calci, a spostare la sedia in modo da imitare determinati movimenti e a usare la posizione del braccio sulle ruote per imitare gli stili. Invece di temere le reazioni dei miei compagni studenti, adoro sentire le parole di incoraggiamento quando eseguo un nuovo movimento.
Naturalmente sono io il mio giudice più severo. Voglio che i miei kata siano fluidi e potenti come lo stesso kata di una persona non disabile. Ad esempio, non abbasso le braccia solo per girare le ruote. Ho creato un metodo che incorpora il movimento della ruota o è altrettanto preciso come se lo stessi usando come difesa.
Oltre la palestra
All’inizio del 2019, Tamara mi disse che mi avrebbe portato ai campionati nazionali di karate dove non solo gareggiavo, ma cercavo di diventare la prima atleta su sedia a rotelle nella squadra nazionale degli Stati Uniti. Altri paesi hanno vasti programmi con atleti su sedia a rotelle, ma gli Stati Uniti non ne avevano ancora.
A luglio dello stesso anno ero sul mio primo volo per Chicago da sola; avrei gareggiato nella Nazionale. In realtà, era solo una gara contro me stessa perché non c’era nessun altro atleta adulto su sedia a rotelle in competizione.
Il 13 luglio 2019 sono stata nominata Campione Nazionale della divisione in sedia a rotelle di para-karate e inserita nella squadra nazionale di karate degli Stati Uniti.
Dopo aver vinto la competizione, la mia maestra Tamara Canedo mi prese da parte e con le lacrime agli occhi disse: “Ti rendi conto di cosa significa? Sei la prima atleta su sedia a rotelle in questa squadra. In uno sport dominato dagli uomini, un atleta donna con un maestro donna.” Non ho parole per descrivere come mi sono sentita come para-atleta, donna e madre.
Perché competere
Non vedo l’ora che arrivi maggio 2020, quando gareggerò in una competizione mondiale in Costa Rica con la bandiera degli Stati Uniti alle spalle per la prima volta. Competerò contro alcune delle donne che rispetto e seguo sui social media. Non sarò solo io contro me stessa questa volta, ma sarà più come mettere su una specie di rappresentazione per il pubblico.
Ancor prima che la squadra nazionale diventasse una realtà per me, amavo il karate. Mi ha aiutato a trovare la concentrazione e controllare la mia mente.
Mi ha aiutato a superare tanti momenti dolorosi, emotivamente e fisicamente. Mi ha dato fiducia. Ho quasi lasciato che le mie paure infondate su ciò che avrebbero pensato gli altri mi impedissero di praticare uno sport che significa così tanto per me.
In realtà, l’unica persona che mi giudicava ero io stessa. Ecco la grande lezione da imparare.
Fonte immagini: United Spinal Association